L’insegnante, di nome Kevi, si è concentrato sul lato tecnico del writing, che consiste nello scrivere la propria firma, detta tag, nel modo più creativo ed artistico possibile anche grazie al supporto di sfondi particolari o vari personaggi dipinti sulle pareti.
L’altro lato della formazione consiste nell’approfondimento teorico e storico del movimento artistico e di come questo si coniughi con il suo impatto sociale. Vengono mostrate alla classe delle fotografie di artisti e di opere che hanno lasciato il segno nella memoria collettiva.
Il lato pratico infine, consiste nel riprodurre sui muri i disegni che vengono prima provati in classe sul foglio dagli allievi. Il corso è stato della durata di 96 ore e si è articolato in una lezione a settimana della durata di tre ore. L’età degli interessati varia dai 14 fino ai 20 anni.
Uno dei ricordi che Kevi apprezza particolarmente riguarda l’attività collettiva che fu svolta per un’opera dedicata alla lotta contro il razzismo.
Il writing, ma proprio tutta la cultura hip hop, ha da sempre interessato gli strati sociali che stanno solitamente al margine della società. D’altronde quest’arte nasce dentro il “ghetto” americano, dando la possibilità ai ragazzi di avere un’alternativa che non sia la strada, un obiettivo che riguardi anche la loro passione.
Soprattutto negli istituti penitenziari questa disciplina può aiutare a concentrare il proprio tempo in maniera differente e soprattutto costruttiva. Può essere utilizzata come una sorta di rivendicazione sociale.
L’emozione più grande per Kevi è sentirsi dire che qualcuno vorrebbe continuare a dipingere anche una volta fuori da lì. Come altre discipline, il writing è un momento di condivisione e di aggregazione importantissimo per la vita dei ragazzi all’interno dell’IPM.
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